Khamzat Chimaev, per i fan “Borz” (ovvero il “Lupo“), ha conquistato, come da previsioni degli addetti ai lavori, il titolo dei pesi medi UFC in uno show assoluto di supremazia tattica e grappling. In alcuni momenti anche brutale, piegando (50 a 44 in tutte le schede arbitrali) il campione uscente, il sudafricano Dricus Du Plessis nel main event di UFC #319 (si è svolto, nella notte italiana, allo United Center di Chicago).
Du Plessis, sebbene sconfitto, ha mostrato grande cuore oltre che resilienza nella gabbia di Chicago. Non è mancato, post match, anche grande rispetto per il neo campione (definendolo un “vero leone”), Parallelamente ha dichiarato di volere indietro la cintura in un prossimo futuro. Si è scusato poi con il suo Paese (il SudAfrica) e i suoi fan per il risultato finale.
“Non ho subito la sua forza fisica, ma ogni volta che studiavo una mossa venivo puntualmente anticipato. Era come se sapesse cosa avrei fatto in quel momento“, così ha dichiarato ai microfoni UFC l’ex campione dei medi. Sempre Chimaev, dopo il tributo d’amore di DDP per la sua nazione, ha ripreso il microfono per ringraziare, anch’egli, gli Emirati Arabi Uniti dove ormai vive e si allena. Ma è stato percepito, un pò da tutti, come fosse più un “dovere” che un gesto proveniente dal cuore (come nel caso, invece, di Du Plessis). Chimaev, infatti, viene considerato, dai suoi compatrioti (in Cecenia), ancora un eroe nazionale, al di là della bandiera degli EAU mostrata, nella serata di Chicago, all’interno dell’ottagono.
Il dominio di “Borz” in numeri
- Record assoluto di colpi totali (529) contro appena 45 di Du Plessis, stabilendo così un nuovo limite UFC per colpi totali in un incontro.
- 12 takedown riusciti su 17 tentati, portando Chimaev a ottenere oltre 21 minuti di controllo sull’avversario (a cui restava solo una difesa imponente ma assolutamente sterile) all’interno della gabbia (oltre 4 minuti in media per round sui 5 previsti). In un paio di round si è andati anche oltre i 4 minuti e 40 secondi.
- Tecniche efficaci come la “crucifix” e il ground-and-pound con gomitate corte hanno caratterizzato la strategia di “Borz” nei primi tre round.

Il metodo Chimaev: tecnica, pressione e domini
Chimaev è riconosciuto, tra gli addetti ai lavori, per il suo wrestling aggressivo: prende la distanza, si abbatte sull’avversario con una velocità impressionante (all’avversario, purtroppo, non resta che subire e difendersi) e impone una pressione incessante grazie al ground-and-pound e a continui tentativi di sottomissione. Gli appassionati, da sempre, notano analogie con lo stile di Khabib Nurmagomedov (indiscusso e imbattuto campione daghestano della UFC), soprattutto nell’uso della “handcuff lock” (blocco delle manette) e negli attacchi alle gambe. Quelle di Du Plessis sono state martellate costantemente in tutti i tentantivi di body-lock, prodromici ai successivi takedown (ben 12 riusciti come detto), da parte del campione ceceno. Al termine di ogni round Du Plessis, pur mostrando una resistenza fisica incredibile, usciva costantemente sempre più indebolito e frustrato a livello mentale (soprattutto negli ultimi tre). E’ chiaro che Chimaev puntava ad una vittoria per sottomissione, più volte tentata (anche se nell’ultimo round DDP ha tentato una ghigliottina della disperazione senza però riuscirvi). Il ceceno ha dimostrato di avere una resistenza importante sui cinque round (aveva combattuto fino ad oggi al meglio dei tre). Fino ad oggi infatti non si conosceva come avrebbe “risposto” alla sua prima “title shot” (al meglio dei 5). Era infatti la prima volta che combatteva per un titolo UFC. Dopo questa vittoria a Chicago torna a casa con una cintura, tra le più prestigiose della UFC, e con un record di 15 vittorie (di cui l’ultima per “decisione unanime”) e, soprattutto, zero sconfitte.
Sul lato opposto, l’ormai noto stile di combattimento di Du Plessis conosciuto con lo slogan “awkward on purpose” questa volta non ha avuto alcun effetto positivo sull’avversario diretto. Quei pochissimi minuti di striking in piedi hanno mostrato una leggera predominanza del sudafricano, ma è chiaro che con Chimaev, anche in un ipotetico rematch, il rischio reale è quello di restare, per la quasi totalità della sfida, sotto pressione (costretto a confrontarsi sul terreno del wrestling, dove “Borz” è nettamente e fisicamente più forte).
Chimaev entra così nell’olimpo dei grandi delle MMA: un fighter capace di imporsi con forza bruta, tecnica e dominio assoluto sul terreno. La sua vittoria a UFC #319 segna l’inizio di una nuova era nella categoria: un guerriero metodico, spietato, cinico, e capace di dettare legge nella gabbia.
Lo stile di combattimento dei russi è una “minaccia” per il business della UFC?
La vittoria di “Borz” adesso può diventare un problema per la UFC. In una recente intervista Du Plessis era stato quasi profetico: “Questo non è grappling o wrestling. Questo è MMA, non stiamo combattendo per il titolo di wrestling. Stiamo combattendo per il titolo UFC”. Nella realtà però, soprattutto i fighters daghestani, ceceni e russi (il cui numero è crescente nella promotion a stelle e strisce) hanno scovato (non si sa quanto inconsapevolmente) un “bug” tecnico nel format della Ultimate Fighting Championship. Dominando la lotta a parete e a terra riescono ad annullare l’utilizzo di quasi tutte le altre arti marziali miste, a partire dalla boxe. Gli eventi, soprattutto i “main” per la title shot, diventano così monotoni, senza pathos e per nulla affascinanti sotto il profilo televisivo. Un calo di appeal destinato, nel tempo, a generare disaffezione soprattutto da parte del grande pubblico. In due altre sfide della card di Chicago (dove hanno vinto il britannico Michael “Venom” Page e il brasiliano Carlos “Nightmare” Prates), ad esempio, il pubblico nordamericano è rimasto affascinato dallo show elettrizzante nella gabbia del britannico e da una serie di colpi a sorpresa, come la gomitata girata alla tempia dell’avversario da parte del fighter verdeoro (grazie a questa performance ha strappato ai vertici della promotion la promessa, ormai già certezza, di una sfida per la cintura dei wwlter, a Rio de Janeiro, contro il britannico Leon Edwards). Questo cambiamento geo-sportivo della UFC pertanto potrebbe arrecare, nel tempo, seri problemi di appeal (con effetti sull’audience e sull’interesse degli sponsor) per il business di Dana White boss indiscusso della promotion americana (sotto il controllo della TKO Group Holdings).
Più in generale la UFC si conferma la più importante organizzazione nel mondo della MMA (lasciando a distanza l’altra sigla americana, PFL/Bellator). L’allestimento interno degli eventi (a partire dal gioco di luci dello United Center), l’attenzione maniacale nei confronti degli sponsor (l’idea di sfruttare il perimetro esterno dell’ottagono costruendovi una struttura led colorata, con luci a intermittenza, per catturare l’attenzione degli spettatori tv è “geniale”; neppure nel calcio c’è una attenzione marketing a questi livelli di profondità), la previsione di short-promo per il lancio dei più importanti eventi dimostra l’attenzione ai particolari anche a livello di produzione e post-produzione. Last but not least, le grafiche UFC per il pre, il durante e il post match sono tutte di altissimo livello. Non vi è nessun’altra promotion, in questo momento, in grado di offrire un’offerta informativa/analisi dati così accurata. Le grafiche, poi, sono utilizzate, in più momenti, per porre l’attenzione sulla città/metropoli che ospita gli eventi UFC. Alcune di queste hanno riproposto la “Skyline” di Chicago in modo moderno e accattivante. Per non parlare dei video spesso realizzati con la tecnica cinematografica del time-lapse (con particolare attenzione alle luci della sera). Sono di fatto un modello da replicare per le più importanti promotion italiane, che potrebbero sfruttare, ancor di più degli americani, le bellezze paesaggistiche delle nostre città per promuoversi e promuoverle nel mondo (in collaborazione con le municipalità).
Durante le oltre cinque ore di diretta “italiana” su Discovery+ (il commento tecnico di Jack Brunelli è una garanzia, a livello di qualità e di stimolo, per la promozione dei combat sports nel nostro Paese) infatti tutti gli appassionati di MMA hanno potuto conoscere, in modo approfondito, le caratteristiche della città di Chicago, i suoi punti di forza, le sue strutture e realtà sportive (nel baseball o nel football americano) con anche un brevissimo “cameo” di Papa Prevost, figlio del Midwest americano, apparso in una immagine di un docu-film sulla sua vita mentre seguiva, nei tempi passati, un match degli amati Cubs.









