Negli ultimi mesi diverse testate internazionali specializzate in MMA (mixed martial arts) hanno sollevato interrogativi sulla direzione intrapresa dalla UFC nella gestione dei propri roster, in particolare per quanto riguarda gli atleti russi. Il caso più emblematico è quello di Rinat “Gladiator” Fakhretdinov, 34enne welterweight moscovita fino ad oggi imbattuto (in UFC), il cui contratto non è stato (a sorpresa) rinnovato nonostante risultati sportivi solidi e prestazioni convincenti (nella promotion americana vanta un score di 8-0-1; più in generale 25-2-1 da quando ha iniziato a combattere. L’ultima sconfitta è avvenuta non nelle mma ma in un torneo internazionale di Karate Combat.
Secondo MMA Fighting e MMAMania, l’uscita di Fakhretdinov è “sorprendente” e difficilmente spiegabile sul piano puramente agonistico. Questo ha riacceso il dibattito su una possibile tendenza della promotion americana (guidata dal patron Dana White) nel futuro pronta a privilegiare profili più mediatici e commercialmente spendibili, anche a discapito di fighter tecnicamente validi ma meno carismatici dal punto di vista marketing. Questo apre ad una nuova era nel settore delle MMA: i fighter dovranno essere di alto livello agonistico, ma anche attrattivi sotto il profilo social/marketing. Porterà tutte le promotion coinvolte nel progetto “UFC Fight Pass” a investire anche sulla crescita mediatica dei propri atleti. Non sarà sufficiente solo vincere come era successo fino ad oggi.

La novità in arrivo cambia le regole del gioco
Queste scelte sarebbero collegate ad una strategia più ampia della UFC, sempre più orientata alla massimizzazione delle entrate e alla riduzione del rischio finanziario. In questo contesto, atleti provenienti da mercati oggi meno strategici o con limitato appeal mediatico globale – come molti fighter russi – rischieranno di essere “penalizzati”.
A rafforzare questa lettura sono arrivate anche dichiarazioni di figure di primo piano come Khabib Nurmagomedov (ex campione UFC) che in una intervista riportata da Sports Illustrated ha espresso la sensazione che la UFC stia rallentando intenzionalmente la valorizzazione dei fighter russi, chiedendo loro non solo vittorie, ma anche una forte capacità di promuoversi in ambito marketing.
Pur non esistendo, al riguardo, una presa di posizione ufficiale (da parte della stessa UFC), il quadro che emerge dalle fonti giornalistiche in esame è chiaro: nel panorama attuale delle MMA di vertice, il successo sportivo da solo potrebbe non essere più sufficiente. Per molti atleti russi, il rischio concreto è quello di pagare un prezzo elevato in un sistema sempre più guidato da logiche mediatiche e commerciali. Ma questa logica potrebbe essere estesa anche ad altri atleti, sicuramente talentuosi, ma poco interessanti a livello commerciale.
Un’idea che non dispiace a Paramount+
Non dimentichiamo, tra l’altro, che Paramount, società di Skydance Corporation, e TKO Group Holdings, società di intrattenimento e sport di alto livello, hanno annunciato, nei mesi scorsi, un accordo sui diritti media della durata di sette anni, in base al quale Paramount diventerà la “casa” esclusiva di tutti gli eventi UFC negli Stati Uniti (mercato di riferimemento per le MMA).
A partire dal prossimo anno (2026), Paramount distribuirà, in esclusiva, l’intero programma UFC, composto da 13 eventi “numerati” e 30 Fight Night, tramite la sua piattaforma di streaming diretta al consumatore, Paramount+, con eventi numerati selezionati che saranno trasmessi in simultanea su CBS, la principale rete televisiva di Paramount.
Il contratto, della durata di sette anni, a partire dal 2026, ha un valore medio annuo di 1,1 miliardi di dollari. Il piano di pagamento del contratto, si legge nel comunicato aziendale, è maggiormente orientato verso la parte finale dell’accordo.
Questo maxi contratto con pagamento crescente, di anno in anno, nasce, presumibilmente, dalla volontà, della stessa Paramount, di cavalcare l’onda delle MMA, puntando però su un numero crescente di nuovi “campioni-icone”. Ma per farlo questi nuovi personaggi devono avere una mediaticità importante da costruire a tavolino sulla base di logiche marketing sempre più invasive. Si entra, pertanto, in un’era di sports-entertainment sempre più forte a discapito del tradizionale profilo agonistico.








