(contributor – Carmelo Pennisi*) – Il volto è scheggiato come fosse appena uscito da una collisione contro qualcosa, ma in realtà Alessio Sakara, quarantaquattrenne romano sopravvissuto a rovesci e successi (sì, anche dai successi occorre sopravvivere), ha appena conquistato il titolo mondiale categoria -93 kg nel Bare Knuckle Figthing Championship (BKFC) contro l’americano Chris Camozzi. La fotografia lo vede con lo sguardo fisso sull’obiettivo, e non è il sangue cinematografico di Rocky Balboa/Sylvester Stallone ad essere sceso sul suo collo e il suo petto fino ad ornare i tatuaggi, ma è sangue ancestrale quasi dal carattere votivo, che non riguarda il mistero degli dei bensì il perimetro di una città o di una comunità, fate voi.
Prendersi a pugni a mani nude come si fa nel BKFC infatti non è masochismo o dare piacere sadico di un epicureismo post moderno gaudente, prendersi a pugni ha a che fare con quella Grecia Classica “madre” della civiltà occidentale, che, come scrive Platone, era ligia e pronta nell’educare i futuri “guardiani” della città.
Il sangue scorre sul volto di Sakara fermo come un “Titano” davanti all’obiettivo della macchina fotografica, e nella mente di colui che guarda si fa largo il concetto del “kata metron”, ovvero l’educazione per l’esercizio della “giusta misura” in ogni scorrere del quotidiano. Prendere pugni e darli fino a spellarsi le nocche della mani, all’interno di un perimetro e del rispetto delle sue regole, conia autocontrollo e disciplina, cilicio della pelle e dell’anima per risorgere a nuova vita ed essere così pronto a servire la città. Quest’ultima non ha bisogno di un gregge, ma di uomini pronti ad esercitare la virtù della perseveranza e del coraggio per andare in battaglia a difendere una comunità “che non si allena pubblicamente per la guerra”.

Infatti in Socrate, maestro di Platone, è chiara l’esigenza di non far circolare per la città la reputazione di codardia, considerato come la guerra sia ovunque e faccia parte della storia. “Estote Parati”, siate pronti, è una celebre locuzione latina orientata non solo ad un temperamento fisico pronto a resistere, ma soprattutto ad educare una mente fusa con il corpo, riuscendo così ad elevarsi ad un qualcosa che non ha niente in comune con il “riscatto” tipico della drammaturgia filmica americana, ma con il “dovere” di essere utile.
Quando Sakara rivela che con il Bare Knuckle “siamo finalmente tornati alle radici”, ti sta parlando delle origini di ogni cosa, sin da quando gli uomini si sono messi a disegnare graffiti sulle pareti dei loro ricoveri di fortuna. Allenarsi nel fisico e allenarsi a pensare, a questo esorta Platone che ha chiaro come sia facile, ad un certo punto, essere rinchiusi nel labirinto del Minotauro senza avere la possibilità di trovare l’uscita per sfuggirgli. Prendere e dare pugni, essere consci di doverlo fare, è il filo rosso consegnato da Arianna all’amato coraggioso Teseo offertosi di uccidere il Minotauro, il mostro che richiedeva in pasto fanciulli e fanciulle, per trovare la via d’uscita dal labirinto dopo averlo ucciso.
Sakara fa capire chiaramente l’analogia tra il “Gymnasion” platonico e la filosofia quotidiana moderna dove la lotta è a malapena celata dal diritto, a volte velo illusorio di una pace costantemente fin troppo fragile. L’occhio pesto e quasi chiuso del volto catturato da un fotografo fin troppo invadente, ma a cui Sakara presta la propria intimità, mostra la conseguenza di una guerra sicuramente fallimento della filosofia, del corpo scolpito dall’esercizio non semplicemente per abbellirsi, come ammonisce Socrate, bensì prova necessaria della profezia di questo fallimento: la guerra è ovunque ed è parte della storia.
Il “Gymnasion” di Platone è sinonimo di “Dromos” (ovvero il luogo in cui si corre) e del “Tukton Dapedon” (un’area ricoperta di sabbia in cui si praticano la lotta e il pugilato), dove i giovani giungono pregni di quel sapere filosofico da mettere alla prova con la competizione, che è il dibattito dei corpi alle prese con una dimostrazione pratica di quanto la conoscenza possa alimentare la virtù persino nella lotta.
Il BKFC raccoglie la preoccupazione di Platone e Senofonte, duri censori dell’opulenza musa perversa del desiderio del vivere nell’ombra edonista e smemorata del dovere della tribolazione in favore della città. Gli edonisti sono flaccidi nel corpo e nella mente, ammonisce Platone riprendendo gli insegnamenti del suo maestro Socrate, e diventano alla fine talmente stupidi da non sapere da che parte colpire i cattivi. Essere persone di pace ed essere “Opliti” spartani nel BKFC è esattamente parte di un tutto, e il volto insanguinato di Sakara non inganni: combattere per competere non fa precipitare nella brutalità insensata, è raccontare alle persone quanto tutto sia insegnabile, inclusa l’abilità marziale.
Il senso filosofico del pugilato a mani nude
Combattere meglio, a questo servono cose come la boxe e il BKFC, perché la sfida, mentale e fisica, porta alla ricerca della verità, necessaria per accettare il reale in tutte le sue molteplici sfaccettature. L’obiettivo non è distruggere l’avversario, ma superarlo con l’intelligenza, e per farlo si deve coltivare il timore dei colpi terribili delle mani nude: schivare, tirare, e sapersi fermare quando occorre. Quindi il volto insanguinato di Alessio Sakara non è la vittoria di Pirro in una sfida iridata, ma è il riproporre una verità filosofica attraverso il dolore fisico, ovvero la visione di una vita come sfida costante tra forze opposte: ignoranza e conoscenza, caos e ordine, ingiustizia e giustizia.
L’invito ad abbandonare la PlayStation
Il “tornare alle radici” di Sakara, il suo citare Platone come maestro dell’origine, è l’urlo di un “ragazzo” di 44 anni ribelle verso una società diventata banale civiltà dell’intrattenimento, priva di ogni tipo di senso (non a caso tra le frasi post combattimento The Legionarius ha invitato i ragazzi ad andare in palestra e ad abbandonare piuttosto la Playstation, simbolo di un confronto solo elettronico e mai contestualizzato nella vita reale, dove si vince e si perde, e il campione di vita, come sul ring, è quello che si rialza dopo aver perso, nda).
Alessio Sakara, il “Legionarius”, nell’ultimo weekend romano non ha vinto solo un titolo mondiale, non ha mostrato solo un volto insanguinato, ha anche prestato il suo corpo al racconto della storia. Poco o molto che sia, sicuramente ha lasciato un segno in chi lo ha visto, come ogni “fighter” che si rispetti.
- scrittore, giornalista sportiva, sceneggiatore cinematografico, amante della storia classica









