“Flavio D’Ambrosi (FPI): ‘La boxe italiana deve guardare al futuro senza restare prigioniera della sua storia’

Dal 4 al 14 settembre scorsi, la città di Liverpool ha ospitato i World Boxing Championships 2025, i campionati del mondo di pugilato èlite (m/f). I primi sotto l’egida della sigla World Boxing, dopo che l’IBA (International Boxing Association, guidata dal presidente russo Umar Kremlev, da sempre vicino alle posizioni politiche di Vladimir Putin) aveva perso ogni possibilità di rientrare nel contesto olimpico.

La metropoli britannica ha ospitato 550 boxeur suddivisi in 10 categorie, sia maschili che femminili, che si sono affrontati sul ring per i titoli iridati (per un totale di 800 medaglie in palio).

L’Italia ha conquistato, in questa ultima rassegna UK (alla M&S Bank Arena), una meritata medaglia di bronzo con la campana, di origini tunisine, Sirine Charaabi (G.S. Fiamme Oro), che, nei 54 kg., pur non centrando la finale contro l’americana Yoseline Perez (già medaglia d’argento alla World Boxing Cup di Astana 2025), ha tenuto un’ottima condotta per l’intera rassegna iridata.

Abbiamo chiesto un commento tecnico al presidente della Federboxe (FPI), Flavio D’Ambrosi (nella foto in primo piano al centro – con i campioni del mondo Alessandro Duran e Patrizio Oliva), al suo secondo mandato federale consecutivo. Siamo partiti dalla rassegna di Liverpool con una serie di riflessioni a 360° sul movimento tricolore della boxe.

Assisi 24.06.2024 ACCADEMIA EUROPEA/SHOOTING FOTOGRAFICO PRE OLIMPIADI PARIGI 2024/ATTENZIONE: SOLO AD USO EDITORIALE DI FPI/SPORT/BOXE/ph Fabio Bozzani/Nella foto di archivio il presidente della FPI – dott. Flavio D’Ambrosi – foto fornita da uff.stampa FPI

D: Presidente, come commenta i risultati di Liverpool?

R: Nel complesso il team azzurro si è ben comportato durante l’intera rassegna. Fin dall’inizio sapevamo che dovevamo operare un profondo svecchiamento del parco atleti, così come dovevamo mettere in piedi un nuovo modello organizzativo a livello tecnico.

Sotto il profilo sportivo, da gennaio ad oggi, abbiamo conquistato, tra Europei e Mondiali, ben 26 podi. Sono soddisfatto, soprattutto, se analizziamo la composizione del medagliere di Liverpool. solo 9 nazioni, sulle 68 iscritte, hanno conquistato almeno una medaglia d’oro.

Il conto delle medaglie del metallo più pregiato vede il Kazakistan al primo posto con sette, davanti all’Uzbekistan con sei. Nel complesso il continente asiatico ha dominato, se includiamo anche i due ori dell’India.

Per l’Europa sono arrivati due soli successi, quelli al femminile della “regina” dei 75 kg, l’irlandese Aoife O’Rourke e della nuova iridata dei +80 kg, la polacca Agata Kaczmarska. Più in generale,, giganti come Cuba, hanno conquistato solo bronzi e nazioni storiche, come USA e Gran Bretagna, non sono riuscite a salire sul gradino più alto del podio nonostante la qualità tecnica delle loro rispettive spedizioni.

D: Guardando al passato è possibile fare comunque delle comparazioni. E, per certi versi, ha un senso ancora farle?

R: La boxe moderna non è più comparabile con quanto avvenuto o raggiunto dal nostro Paese negli anni passati. Ci sono due ordini di fattori che dobbiamo considerare: ovvero quelli “esterni” così come quelli “interni”.

Negli anni ’60 non c’erano tutte queste nazioni, a livelli competitivi, nel panorama della boxe. All’epoca, ad esempio, c’era l’ex URSS. Con la disgregazione della galassia sovietica ci siamo trovati a competere con tante nuove federazioni pugilistiche dell’ex Cortina di ferro e il predominio dell’Uzbekistan e del Kazakistan a Liverpool è la conferma di questa tesi.

Sempre in quegli anni non erano ancora presenti nazioni come India, Cina o Taipei. C’è poi da considerare i fattori interni. Sempre nel periodo storico che stiamo prendendo ad esempio la boxe era la disciplina regina. Oggi dobbiamo competere con kickboxing, karate, judo, arti marziali (soprattutto quelle miste, nda), muay thai o ancora con la savate. In sintesi l’universo dei combat sports è sempre più variegato e articolato.

Negli ultimi 30 anni abbiamo conquistato ori con i nostri azzurri, come, ad esempio, con Roberto Cammarelle (nel 2008 ai Giochi di Pechino nei pesi supermassimi), ma, probabilmente non c’è stata una visione per costruire un percorso diverso, guardando cioè al futuro, oltre che di continuità.

D: Veniamo ai dati del movimento tricolore.

R: Abbiamo raggiunto dei record storici per la nostra Federazione. Tre dati su tutti: oltre 75mila tesserati, 1.200 società affiliate e ben 1.300 eventi. Solo in quest’ultimo weekend ci sono state tre riunioni di livello internazionale, tra Bologna (con la vittoria di Pamela Noutcho Sawa nella boxe femminile), Osolo e Milano, dove Dario Morello si è laureato campione EBU Silver nei pesi medi e adesso punterà al titolo “Gold”. I numeri ci dicono che siamo in crescita e i media stanno tornando ad occuparsi con continuità del nostro sport. Senza dimenticare che, nella fascia giovani 10-12 anni, stiamo assistendo ad una crescita del 40% a livello di tesseramenti.

Il pugile Dario Morello durante uno dei suoi ultimi match – foto Greta Moret

D: Cosa si può fare alla luce di queste riflessioni?

R: Sottolineo, nuovamente, che, fino a 30/35 anni fa, l’Italia aveva un posto al sole nella boxe mondiale. Oggi il numero dei competitor però è illimitato. Siamo in due ere, epoche diverse, non comparabili. Sicuramente, nel confronto con i competitor “interni”, ci dobbiamo posizionare come una realtà guida del settore. Dobbiamo investire sull’innovazione tecnologia e analizzare i gusti e le tendenze del nuovo pubblico, con il quale dovremo confrontarci nei prossimi anni. Dobbiamo anche essere realisti. Non possiamo pensare di poter contare, ogni anno, sulla presenza di un campione del mondo “pro”. E dobbiamo valorizzare maggiormente i risultati che stiamo riuscendo ad ottenere. I podi conquistati agli Europei e anche il bronzo mondiale di Liverpool sono obiettivi di alto livello. Ad esempio gli USA, agli ultimi Mondiali di Liverpool, hanno conquistato solo un argento nella boxe femminile. E parliamo degli Stati Uniti, con un bacino potenziale vastissimo rispetto alla stessa Italia.

D: Quali sono le novità che vedremo nella prossima stagione.

R: Siamo già entrati nelle celebrazioni dei 110 anni della Federazione e partiremo con un rebranding per presentarci sul mercato con una nuova immagine, assolutamente più moderna. Vogliamo parlare e confrontarci con un pubblico più vasto di quello attuale. Oltre a ciò stiamo lavorando per portare un titolo mondiale, proprio nell’anniversario dei primi 110 anni di vita, all’ombra del Colosseo. Non posso svelare nome e categoria di peso, ma ci stiamo lavorando perché questo sogno si possa realizzare concretamente.

D: A livello internazionale come si sta muovendo la FPI?

R: La Federboxe italiana è stata tra le prime realtà internazionali ad affiliarsi alla World Boxing. Abbiamo “traghettato” il nostro Paese, il nostro movimento, nell’unica organizzazione riconosciuta dal CIO, altrimenti, mi creda, saremmo finiti nel burrone. Ciò ha portato al pieno riconoscimento dell’Italia, a livello di politica, con effetti positivi anche nei rapporti presenti e futuri con il Comitato Internazionale Olimpico. E di questo sono assolutamente orgoglioso, perché tutti oggi riconoscono il nostro saper fare politica anche sui tavoli internazionali. Il prossimo 23 novembre, l’Italia, e la città di Roma, ospiteranno il congresso della World Boxing e ci occuperemo, come FPI, di tutti gli aspetti organizzativi. Un altro nuovo successo per il nostro Paese. 

credits photo FPI

D: Come sta lavorando la nuova struttura tecnica federale?

R: Mi fido pienamente del DT Giovanni De Carolis e del RT Clemente Russo o, ancora, di Sumbu Kalambay, tecnico dell’U23 azzurra. Hanno grandi capacità, non solo tecniche, e sanno far crescere gli atleti e le atlete che hanno nel gruppo delle nazionali. Dopo lo svecchiamento del parco atleti era giusto muoversi in parallelo anche sul fronte tecnico.

Lavorano con criterio e mettendo in campo anche idee nuove. Sono consapevole che sarà dura nei prossimi anni, proprio per le ragioni sopra elencate, ma siamo sulla strada giusta. Ne sono sicuro. Dobbiamo sapere che è importante andare avanti e, anche culturalmente, non restare intrappolati nella nostra “storia”, per quanto gloriosa. Siamo in una epoca diversa e, infatti, in quel periodo, non esistevano pugili di livello cinesi o indiani. Più in generale, dobbiamo lavorare sul marketing e la comunicazione e far capire, una volta per tutte, che la boxe è noble art, è patrimonio di valori assoluti. Dobbiamo distinguerci e distanziarci dagli altri competitor interni, perché altrimenti la gente non capirà in che cosa siamo concretamente diversi. C’è una base comune in molti casi (si pensi alla MMA dove il combattimento parte sempre in piedi con lo striking, nda), ma abbiamo un posizionamento distintivo rispetto a tutti.

Talvolta il mio timore, guardando all’interno del nostro movimento, è che ci sia un sentimento di negatività diffusa, un legame troppo stretto con il passato. Dobbiamo fare un cambio di passo radicale e guardare assolutamente al futuro, alle prossime sfide che ci attendono da qui a Los Angeles 2028, dove vogliamo assolutamente fare bella figura, per ribadire il valore e la centralità della nostra scuola pugilistica. Oltre a ciò dobbiamo far crescere una nuova classe dirigente con un approccio sempre più manageriale in diversi ambiti.

D: Nell’ultimo biennio gli ingenti capitali sauditi hanno rivoluzionato la geopolitica e l’economia della boxe mondiale.

R: Sì, i capitali sauditi stanno rivoluzionando il mercato del business sportivo (e non solo nella boxe ad essere sinceri, nda). Questa tendenza emergente, fa parte di quelle nuove politiche che stanno influenzando il nostro mondo. Credo però, che l’Italia, nel futuro, possa diventare sede di grandi eventi di pugilato. Prima ancora delle strutture servono campioni del mondo italiani o importanti ori olimpici (si pensi, ad esempio, alla crescita e al successo di Anthony Joshua*, capace di attrarre il grande pubblico inglese dopo l’oro di Londra 2012 nei pesi supermassimi). Certamente dobbiamo essere attenti a cogliere qualsiasi nuova opportunità, non isolandoci mai in ambito internazionale. Ma quest’ultimo aspetto è parte costante del mio lavoro quotidiano in Italia e all’estero.

  • Per la cronaca (nota di TheDailyCage) Joshua è una delle possibili opzioni di Guido Vianello (nella foto sotto), che sogna una grande riunione pugilistica in Italia dopo la conquista del titolo WBC Continental Americas, nelle settimane scorse, ai danni del pugile della Matchroom Boxing, l’ex imbattuto canadese Alexis Barriere.
Guido Vianello (a destra) colpisce al volto Alexis Barriere (a sinistra) – credits photo Guido Vianello

 

 

Marcel Vulpis

Marcel Vulpis

Romano, 57 anni, giornalista professionista, specializzato in temi di economia e politica dello sport. Ha fondato nel 2004 l’agenzia nazionale online “SportEconomy” (dedicata al mondo dello sport business a 360 gradi) dirigendola fino ad oggi. Ha ricoperto ruoli dirigenziali nel calcio e nel ciclismo. Docente universitario a contratto per le più importanti università italiane (con focus su comunicazione/uffici stampa e marketing). Opinionista televisivo, editorialista e scrittore. Nel 2017 ha scoperto casualmente gli sport da combattimento (Combat Sports) e da lì è nata una grande passione che ha portato alla nascita del progetto di sports-news “TheDailyCage.it”.

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